Gastroenterite virale da parvovirus nel cane: di cosa si tratta?
La parvovirosi canina è una malattia infettiva virale grave, principale causa di gastroenterite acuta nei cuccioli.
Che animali colpisce?
Il virus colpisce:
- i cani domestici
- lupi
- altri carnivori selvatici (Allison et al., 2012).
L’infezione e la malattia colpiscono soprattutto cuccioli di età inferiore ai 6 mesi, mentre nei cani adulti sono stati segnalati segni clinici anche gravi.
Come si trasmette?
Il virus viene diffuso nell’ambiente attraverso feci infette ed è stabile e resistente potendo rimanere contagioso per diverse settimane o addirittura mesi.
I cuccioli privi di una risposta immunitaria specifica sono infettati attraverso la via oronasale per contatto diretto o indiretto (Green ed. 2012, Decaro e Buonavoglia 2012) (Walter-Weingärtner J et al., 2021).
Azione del virus nell’organismo animale.
Il virus si localizza soprattutto nel tratto gastrointestinale, nel midollo osseo e nei tessuti linfoidi (linfonodi), provocando a livello intestinale:
- necrosi e atrofia dei villi,
- diminuita capacità di assorbimento,
- interruzione della funzione di barriera intestinale,
e conseguente diffusione dei batteri intestinali in circolo (batteriemia) (Walter-Weingärtner J et al., 2021).
Incubazione e capacità infettante del cane.
La diffusione del virus attraverso le feci si osserva dopo 2-3 giorni dall’infezione e dura fino a 45-50 giorni, con una maggiore eliminazione di solito nei primi 7-10 giorni dall’infezione e a, volte, fino a 6 settimane.
Le nuove varianti antigeniche mostrano, rispetto al ceppo originale, maggiore patogenicità, segni clinici più gravi, maggiore estensione e durata della diffusione virale e minori quantità di virus necessarie per infettare i cani (Decaro N, Buonavoglia C. Manuale di Malattie Infettive del Cane e del Gatto).
Sintomi: come si manifesta la malattia?
I sintomi tipici comprendono:
- vomito
- diarrea emorragica
- disidratazione
- febbre
- leucopenia.
I tassi di mortalità possono raggiungere il 60-70% nei canili e rifugi infetti.
Per le infezioni sostenute dalle nuove varianti di tipo 2 (CPV-2) il periodo di incubazione prima della comparsa dei segni clinici è di 3-4 giorni.
In base all’età e allo stato del sistema immunitario del cane infetto, l’infezione da Parvovirus canino può causare due diverse forme cliniche: infezioni subcliniche e gastroenterite acuta.
In rari casi è stata descritta anche miocardite.
Infezioni subcliniche
Si tratta di infezioni lievi che, a volte, si presentano con sintomi vaghi come letargia e perdita di appetito per 2-3 giorni.
In questo caso i cani non sono in pericolo di vita
Questo tipo di infezione può colpire i cuccioli con livelli intermedi di anticorpi materni, che riescono a proteggere dalla malattia, ma non dall’infezione.
Qualche volta possono essere colpiti anche cani adulti, con segni clinici quasi nulli, grazie alla maturità della mucosa intestinale.
Le infezioni subcliniche assumono particolare importanza nei canili e rifugi per animali, dove la presenza di animali sani ma infetti può favorire la diffusione del virus ad altri cuccioli (Green ed. 2012, Decaro e Buonavoglia 2012)
Gastroenterite acuta
Trattasi della forma tipica della malattia indotta da Parvovirus Canino (CPV-2) e osservata più spesso nei cuccioli di 1-6 mesi di età.
Dopo 3-4 giorni di incubazione, i cuccioli sviluppano:
- anoressia
- depressione
- vomito
- seguiti da diarrea
- con conseguente disidratazione.
La diarrea nel cane è spesso emorragica, con le feci che appaiono striate di sangue.
Nei cani non trattati, complicazioni, come un’infezione batterica con setticemia, sindrome da risposta infiammatoria sistemica, iper-coagulabilità e disfunzione multiorgano, possono causare alti tassi di mortalità (Sykes 2014, Kalli et al., 2010).
Le infezioni concomitanti con il coronavirus canino (CCoV) possono esacerbare i segni clinici, con un maggiore danno a livello intestinale.
Pertanto, al fine di isolare i pazienti infetti e fornire una terapia immediata e adeguata per i cani con questa infezione potenzialmente mortale, è essenziale una diagnosi rapida (Walter-Weingärtner J et al., 2021).
Diagnosi di Parovirus
La diagnosi di infezione da Parvovirus Canino si basa, di solito, sulla presenza di una diarrea maleodorante e sanguinolenta, tuttavia, anche altri patogeni possono indurre una sintomatologia simile.
Ad esempio, il Coronavirus Canino provoca generalmente un’enterite non emorragica, ma in determinate circostanze, può causare una diarrea emorragica (Decaro, Buonavoglia. 2011).
“Pertanto, si ritiene sempre necessaria una diagnosi di laboratorio per confermare o escludere l’infezione da CPV (Green ed. 2012, Decaro e Buonavoglia 2012). “
Tra le indagini per la diagnosi di Parvovirosi nel cane, consideriamo le analisi di più facile reperibilità presso i laboratori di analisi veterinarie:
- Ricerca antigeni fecali
- Ricerca DNA virale con PCR real-time
- Ricerca anticorpi.
In generale, sarà il medico veterinario a stabilire quale esame è necessario e più idoneo per il tuo cane, in base alle osservazioni cliniche.
Cosa fare se hai il sospetto che il tuo cane abbia una gastroenterite virale
Se hai un cucciolo con i sintomi descritti, la prima cosa da fare è rivolgersi al tuo Medico Veterinario, avvertendolo della situazione, prima di recarti in struttura.
Il cucciolo, infatti, potrebbe essere un pericolo per altri cani in sala d’attesa.
Ti indicherà lui la corretta modalità di accesso alla Clinica Veterinaria per la sicurezza degli altri animali presenti.
Il virus viene disseminato dagli animali infetti.
Come detto, è molto resistente ed è difficile da eradicare nell’ambiente. Per queste ragioni può persistere diverse settimane, con ulteriore diffusione dell’infezione ad altri cani.
Quindi evita di farlo annusare da altri cani e tienilo isolato.
Come comportarsi in canile o in altri ambienti con uno o più animali infetti o sospetti di infezione
In queste circostanze è:
- Obbligatorio l’isolamento dei cuccioli colpiti in aree dedicate ai pazienti con malattie infettive, sia nelle cliniche che nei canili;
- Il materiale fecale deve essere rimosso il più presto possibile, e le superfici a contatto con le feci vanno pulite con disinfettanti, soluzioni a base di ipoclorito di sodio al 5-10%;
- Tutte le superfici resistenti devono essere esposte per almeno 10 minuti alla candeggina diluita, in particolare box dei canili e gabbie delle cliniche;
- Le superfici non resistenti alla candeggina devono essere pulite a vapore.
Come si tratta la parvovirosi?
Il trattamento prevede (dopo aver effettuato gli accertamenti di laboratorio necessari a comprendere lo stato generale e le eventuali complicanze) il ricovero in terapia intensiva, reparto di malattie infettive e isolamento del cucciolo.
Questo, non soltanto per difendere gli altri soggetti, ma perché in questa condizione il cucciolo è immunodepresso e quindi potrebbe essere facilmente aggredito da altri patogeni (soprattutto di tipo batterico).
Non esiste una cura specifica, per questo il trattamento sarà di tipo sintomatico e di sostegno, attraverso fluidoterapia volta a:
- ridurre la sintomatologia gastroenterica (vomito e diarrea)
- ridurre il dolore addominale
- ridurre lo stato di disidratazione
- alimentazione precoce specifica (anche attraverso sondino rinofaringeo al fine di salvaguardare lo stato dei villi intestinali).
Il ricovero è variabile nei tempi ma, di solito, dopo il 4° o 5° giorno inizia il recupero che può far tornare il cucciolo a casa dopo circa una settimana.
Come prevenire la Parvovirosi: Vaccinazione e sua efficacia
Sono stati sviluppati vaccini inattivati e attenuati (Johnson et al., 1983).
Generalmente, i vaccini attenuati sono maggiormente utilizzati, poiché garantiscono una durata dell’immunità superiore rispetto a quella dei vaccini inattivati (Schultz, 2006).
I vaccini più diffusi sono basati sulla variante originale CPV‐2 e sulla variante 2b (Decaro, Buonavoglia, 2012).
Sono stati effettuati numerosi studi per valutare la protezione tra i vaccini maggiormente utilizzati e le diverse varianti virali circolanti (Wilson et al., 2014; Hernández‐Blanco and Catala‐López, 2015).
Da questi studi è emerso un dato confortante per quanto riguarda la protezione garantita dai vaccini contenenti il virus originale CPV‐2 nei confronti delle nuove varianti CPV-2a, CPV-2b e CPV-2c, e per la protezione fornita dal vaccino che contiene la variante 2b nei confronti delle altre, inclusa la variante CPV-2c, ritenuta più virulenta e/o in grado di evadere la risposta immunitaria dell’ospite.
Cause di insuccesso vaccinale
Sembra, a questo punto, che la ragione dei possibili insuccessi vaccinali sia da ricercare nei modi e tempi di somministrazione dei vaccini: i fattori più importanti da considerare sono l’età dell’animale e l’interferenza dell’immunità materna (Altman et al., 2017).
La persistenza degli anticorpi materni rende complessa la valutazione della finestra temporale più adeguata per la vaccinazione.
Anche titoli molto bassi di anticorpi materni sono in grado di neutralizzare l’antigene vaccinale, impedendo la sieroconversione nel cucciolo (Gooding and Robinson, 1982) ed esponendolo al rischio di infezione (De Cramer et al., 2011).
Ecco perché, laddove è possibile, consigliamo di effettuare una titolazione anticorpale per valutare la presenza degli anticorpi materni (pratica presente nei piani di salute del Cucciolo BluVet).
Le linee guida per la vaccinazione del cane e del gatto proposte dalla World Small Animal Veterinary Association (WSAVA) (Day et al., 2016) prevedono l’inserimento della vaccinazione per il CPV tra le vaccinazioni “core”, fortemente raccomandate.
Non esiste una regola unica per la prima vaccinazione, applicabile a tutte le possibili situazioni.
La raccomandazione del WSAVA è di iniziare con i vaccini “core” a 6-8 settimane, quindi ogni 3-4 settimane fino a 14-16 settimane di età o più.
Il numero di vaccinazioni raccomandate della prima serie del cucciolo sarà determinato dall’età alla quale si inizia con la vaccinazione e dall’intervallo scelto tra una vaccinazione e la successiva.
Dopo il richiamo, da effettuare a distanza di 26 o 52 settimane, vaccinare con i vaccini raccomandati ogni 3 anni (Day et al., 2016).
La vaccinazione produce un rialzo anticorpale negli animali già sieropositivi, previene l’eliminazione del virus (Yule et al., 1997), la comparsa dei sintomi e la viremia.
Inoltre, qualora la sieroconversione avvenga adeguatamente, l’immunità permane fino a tre anni, sia in condizioni sperimentali (Carmichael et al., 1983; Gore et al., 2005) che in animali di proprietà (Larson and Schultz, 2007), rendendo superfluo il richiamo annuale e permettendo la somministrazione dei vaccini dopo un monitoraggio e solo in corrispondenza di un reale calo anticorpale.
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